Intervista a Simona Casonato

Questa estate abbiamo avuto l’opportunità di scambiare due chiacchere con Simona Casonato, una editor di Mondadori che si occupa in particolare della collana Y/A Chrysalide. Durante la videochiamata abbiamo reciprocamente scoperto un po’ dei nostri mondi. Noi le abbiamo fatto qualche domanda sul suo lavoro e non solo… Un ulteriore ringraziamento a lei per essere stata così disponibile.

Cosa ti piace di più del tuo lavoro?


Sembra una domanda semplice. Lo è, ma è la risposta a essere complessa perché mi obbliga a passare al setaccio tutte le ragioni per cui mi piace questo mestiere per trovare la ragione con la R maiuscola, che in fondo poi le comprenda tutte, quelle ragioni. In estrema sintesi, direi che ciò che amo di questo lavoro è che mi dà la possibilità di relazionarmi con l’essere umano e la sua storia, le sue pulsioni, i suoi desideri, le sue frustrazioni… E questo accade leggendo i romanzi, conoscendo gli autori, incontrando gli agenti alle fiere ecc. È l’incontro – reale, virtuale che sia – con le storie, con le persone, ciò che amo di più del mio mestiere. Sì, è questo, direi.

Di solito incontri tutti gli autori che pubblicano?


Sì, per me questa è la base di tutto. Un autore, quando decide di pubblicare con una casa editrice, credo abbia bisogno di conoscere personalmente la persona a cui sta affidando il proprio lavoro. Perché insieme al file o alla risma di carta stampata, le sta affidando una parte importante di sé. L’incontro, quel primissimo incontro, è un momento delicato ed emozionante. Perché è la base su cui si inizia a costruire il rapporto tra autore e editor, una relazione basata sulla fiducia reciproca che si svilupperà nel tempo e che si alimenterà di lunghe conversazioni (che a volte possono anche sfociare in discussioni), di idee e ripensamenti, di entusiasmi e slanci, e che dovrebbe, almeno idealmente, facilitare tutto il lavoro sul testo.

Quando un romanzo è finito e c’è la revisione, quante persone ci lavorano?


Dipende dai casi, ma in genere oltre all’editor (che si occupa più di questioni macro, come ad esempio di discutere con l’autore della struttura del romanzo, di eventuali snodi narrativi da sviluppare, dei personaggi ecc.), ci sono almeno un revisore/redattore (che si occupa invece di fare un lavoro puntuale sul testo, come ad esempio controllare che i riferimenti cronologi tornino tutti o che ci sia coerenza nel testo e quindi, che so, un personaggio che si chiamava Pino poi alla fine non si chiami Gino), uno o due correttori di bozze (i cosiddetti cacciatori di refusi!).

Qual è il libro che ti è piaciuto di più tra quelli che hai pubblicato?


Oddio, sapete che non riesco a dirvelo? E non per non fare quella che non vuole fare differenze tra i figlioli, ma perché davvero sarei in difficoltà. Ogni libro pubblicato l’ho scelto e se l’ho scelto è perché in qualche modo mi ha lasciato qualcosa di unico e originale. Però posso dirvi che un posto d’onore lo avrà sempre un libro di un’autrice americana, Kate Scelsa, che si intitola Fan della vita impossibile, credo di avervene parlato quando ci siamo viste. Ecco, quello è stato uno dei primi young adult che ho letto quando ho iniziato a fare la lettrice per quella che è diventata dopo poco il mio capo. Per me era tutto nuovo, fino a quel momento mi occupavo di correggerli i libri, ora potevo, con il mio giudizio, caldeggiare o meno la pubblicazione di un romanzo. E fortuna volle che quella prima volta mi capitò tra le mani una storia bellissima di cui mi innamorai. Quel libro, poi, fu uno dei primi a cui dovetti lavorare una volta diventata editor.

Che consigli daresti a un ragazzo o a una ragazza che vuole scrivere un libro?


Non credo si possa parlare propriamente di “volontà di scrivere” però, perché, per come la vedo io, quando una storia è davvero importante, arriva prima della volontà di scriverla. Prima c’è lei, che preme per venire fuori, e poi c’è la scrittura, che si mette al suo servizio, per raccontarla. La cosa più faticosa allora è proprio quella: ascoltarsi e ascoltare la storia che preme dentro di sé per venir raccontata. E poi dedicarcisi, con la massima onestà, con la massima generosità, senza pensare a cosa “funziona” nel mercato o meno. Quello che conta, secondo me, è che ciò che si scrive nasca da una necessità profonda, che muova qualcosa in chi la scrive tanto che non avrebbe pace se non la scrivesse. A tutti i ragazzi che sentono di avere storie da raccontare, poi consiglierei di leggere, tanto, e poi di vivere, al massimo, di esercitare più che possono la loro curiosità, di ascoltare, osservare il mondo che li circonda, con i sensi aperti: solo così le storie possono alimentarsi, crescere, chiamando a loro volte altre storie.

Estathé limone o pesca? e perché?


Non c’è gara. Pesca tutta la vita. Anche se, in mancanza d’altro va bene anche al limone. Il perché? Forse perché la dolcezza della pesca è una coccola per il palato. Il mio, almeno. 🙂

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